06 maggio 2024

Report – il caso Regeni e la lobby della carne

VERITÀ PER GIULIO REGENI di Daniele Autieri

Giulio Regeni è stato rapito il 25 gennaio 2016 in Egitto, mentre stava facendo una ricerca sul mondo del lavoro e sui sindacati. Il suo cadavere, con evidenti segni di tortura, fu ritrovato il 3 febbraio.

Il processo è finalmente partito, dopo 8 anni: ma i responsabili delle torture (4 ufficiali dei servizi segreti egiziani) sono irreperibili e sono processati in contumacia.

L’Egitto non ha collaborato alle indagini, ha messo in atto dei depistaggi, ha celato le identità dei presunti responsabili, poi identificati dagli investigatori italiane.

Nonostante ciò non sono cambiate le politiche di scambio nei suoi confronti, soprattutto da parte dell’Italia, il governo Al Sisi è in buoni rapporti con l’Arabia, con Israele, con gli Stati Uniti.

Abbiamo sacrificato la giustizia per Giulio Regeni in nome di una ragione di stato?
Sul viso di Giulio ho visto tutto il male del mondo, aveva detto la madre: i suoi carnefici non si sono fermati al visto, le ossa dei suoi piedi erano rotte, c'erano bruciature su tutto il corpo, denti spezzati, tagli sulla schiena, tutto questo è avvenuto nei nove giorni dopo il rapimento, il 25 gennaio.

Il servizio di Report ne ha ricostruito le ultime ore e poi i giorni successivi alla sua scomparsa: la sera del 25 gennaio doveva incontrare il professor Gervasio, ma era il giorno dell’anniversario delle proteste di piazza (e l'ambasciata aveva sconsigliato di uscire la sera): quando l'amico si rende conto che Regeni non si presentava all’appuntamento lancia l’allarme all’ambasciatore.

Gervasio aveva rapporti coi servizi egiziani? Un altro ricercatore, amico di Giulio, racconta di aver capito subito che poteva essere stato rapito da una delle agenzie di sicurezza del paese.
Giulio sarebbe stato rapito in una stazione della metropolitana: agli investigatori è stato consegnato un video ma con dei buchi nei minuti in cui Regeni esce di casa.
Racconta a Report un funzionario del ministero degli Esteri: “già dalle prime ore la notizia di un ragazzo scomparso a Il Cairo viene condivisa tra gli agenti in servizio del controspionaggio, il capo centro dell’Aise e ovviamente la Cia e MI6 inglese”.
La mattina del 27 gennaio i genitori di Giulio Regeni ancora non sanno nulla ma nelle stesse ore parte da Roma un volo dell’Aise che porta l’allora numero due Giovanni Caravelli, oggi direttore dell’agenzia, a incontrare i vertici dei servizi egiziani.

Continua il funzionario della Farnesina: “in quei giorni le nostre agenzie hanno continuato a fare ricerche su Giulio Regeni perché volevano capire se era una bomba che stava per esplodergli in mano. Allo stesso tempo volevano tenere lontani i genitori da Il Cairo perché la verità era che alla Farnesina nessuno li voleva tra i piedi in Egitto in quel periodo.”

Alle ore 14 del 28 gennaio partì da Il Cairo una comunicazione criptata sul canale riservato ai diplomatici all’estero, si tratta del messaggio 211 rimasto inedito fino ad oggi, con il quale l’ambasciatore Massari lancia l’allarme ai livelli più alti delle istituzioni. Nel messaggio Massari ricostruisce i fatti al 25 gennaio, scrive chi è Giulio Regeni, utilizzando un tono molto duro e preoccupato dal quale traspare che l’ambasciatore tema il peggio.

Il messaggio 211 è uno dei misteri di questa storia: nella relazione che l’ambasciatore scriverà il 7 febbraio dopo la morte e il ritrovamento del corpo di Regeni, dove ricostruisce nel dettaglio le azioni dell’ambasciata nei giorni della crisi, del messaggio non c’è traccia, nonostante sia un elemento centrale perché dimostra che il presidente del Consiglio Renzi venne informato il 28 gennaio.

Questo contraddice quanto lo stesso Renzi aveva dichiarato davanti la commissione di inchiesta: ai membri della commissione l’ex presidente parla dei rapporti costanti con Al Sisi, di come il governo italiano si sia mobilitato “immediatamente” coi massimi livelli del governo egiziano, dopo essere stati informati il 31 gennaio.

Ma il messaggio 211 prova che Renzi venne informato tre giorni prima, dando un altro significato ad un altro passaggio in commissione: “ecco perché dico, se l’avessimo saputo prima forse avremmo potuto fare prima qualcosa..”
Renzi non ha detto la verità o si è confuso? “Questa è un’ottima domanda” risponde a Report Guido Pettarin membro della commissione.

Renzi a Report racconta che ripeterà la sua versioni davanti ai magistrati: secondo la sua opinione di mezzo ci sono i servizi inglesi, “ho detto a Cameron e Teresa May che serviva rispetto”, facendo riferimento alla tutor inglese che ha mandato Giulio in Egitto.

Regeni era uno strumento dei servizi inglesi? La procura di Roma e la commissione di inchiesta ha smontato questa tesi e portarla avanti – questa opinione – toglierebbe le colpe in carico al governo di Al Sisi. Ma, alla fine, Renzi sapeva del rapimento sin dal 27 gennaio come sembrerebbe?

Noura Wabi è una ricercatrice come Regeni: lo ha aiutato a cercare casa, nei giorni che precedono il sequestro ha contatti frequenti con un uomo dei servizi egiziani. C’è il sospetto che le persone attorno a Giulio fossero informatori dei servizi, che il ricercatore fosse controllato nei suoi movimenti.

Tra i traditori c’è anche il coinquilino di Giulio, un avvocato che apre le porte agli agenti della sicurezza, anche nei giorni in cui nell’appartamento erano presenti i genitori.

Altro traditore è il sindacalista Abdallah (che è stato indicato a Giulio dalle tutor di Regeni), che arriva ad indossare una telecamera per i servizi per incolpare Giulio: chiama al telefono il colonnello Kamal chiedendogli come usare la telecamera che aveva addosso.

Anche Eni, oltre a Cia e MI6, cerca di dare un contributo alle indagini: sono i giorni in cui si stava trattando la concessione per un giacimento di gas nel mare egiziano, il giacimento Zor, il cui negoziato è stato concluso con la firma di un contratto il 21 febbraio 2016. Re comm è venuta in possesso di uno scambio di informazioni tra Eni e ministero degli esteri dove emerge il potere di influenza di Eni nei confronti della politica estera italiani.

Il 29 gennaio il caso Regeni è sul tavolo delle più alte cariche istituzionali: l’Aise ha fatto delle ricerche su Regeni, per capire se fosse una bomba che poteva scoppiargli in mano – spiega la fonte interna alla Farnesina che aggiunge come nessuno volesse i genitori tra i piedi.

Il 30 gennaio i genitori di G.R. arrivano a Il Cairo e lo fanno da privati cittadini, acquistando un biglietto aereo da una agenzia e andando a dormire nella casa di Giulio nel quartiere popolare di Doqqi: “abbiamo pagato tutto noi, ci siamo arrangiati” conferma il padre di Giulio.

La mattina del 31 gennaio la sparizione di Giulio è ancora un segreto: questa la scelta di Farnesina e Palazzo Chigi per evitare che la notizia arrivasse alla stampa creando problemi tra i paesi.
Gentiloni (allora ministro degli esteri) si mette in contatto col ministro degli esteri egiziano, ottenendo solo informazioni generiche: così alla fine si decide di informare la stampa.

Il 3 febbraio il capo dell’intelligence arriva a Il Cairo, un altro volo porta a bordo la ministra Guidi dello sviluppo egiziano che poi si incontrerà anche con Al Sisi.
Tutti danno rassicurazioni agli italiani che si stanno dando da fare per trovare Giulio:
purtroppo il suo corpo, morto, verrà trovato il 3 febbraio stesso su una strada della periferia de Il Cairo
I genitori lo scoprirono leggendo online le notizie sul sito di Repubblica.

Il 3 febbraio è il giorno delle coincidenze: quello della missione italiana in Egitto col volo della ministra Guidi e del capo dell’Aise.
Quello della telefonata ricevuta dall’ambasciatore Massari dalla tutor di Regeni che gli da notizia del ritrovamento del corpo, probabilmente informata dalla CIA, e lo invita a muoversi a prendere il corpo prima che ci mettano le mani i medici egiziani.

Il 4 febbraio partono le indagini sulla morte del ricercatore: gli italiani collaborano ad ufficiali egiziani e continuano i depistaggi tanto che uno di questi ufficiali è oggi imputato.

I genitori hanno incontrato il presidente Renzi: si diceva sicuro della collaborazione dell’Egitto, perché èun paese amico, perché non pensava che Al Sisi avesse ucciso Giulio. Renzi promise anche che avrebbe convinto Al Sisi a rilasciare una intervista per un quotidiano italiano: ma alla fine l’intervista serviva solo a riaccreditare il presidente di fronte alla comunità internazionale.

Avrete verità per Regeni” era il titolo dell’intervista di Calabresi: altro che condoglianze, era solo una mossa per aiutare Al Sisi a rifarsi la sua immagine.

Altri passi di riavvicinamento tra i due governi seguiranno poi dopo i primi attimi di gelo: il ritorno dell’ambasciatore, la vendita di due fregate all’Egitto dal governo Conte, poi altre armi vendute dai governi seguenti.

L’Egitto di Al Sisi è un paese amico – dice oggi Descalzi, AD di Eni.

La ragione di stato ha dettato i passi della politica, per mantenere buoni rapporti con questo partner stategico, con questo paese garante della stabilità politica della zona.

Il 16 marzo scorso la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha incontrato il presidente egiziano Al Sisi assieme alla presidente della commissione europea Ursula von Del Leyen: si è trattato di un incontro storico perché l’Unione Europea ha firmato un’intesa col paese annunciando un sostegno economico pari a 7,4 miliardi di euro, un accordo per cui Meloni ha espresso grande soddisfazione, per il “nuovo modo di portare avanti una cooperazione” coi paesi del nord Africa. Alla domanda fatta dai giornalisti se ha posto ad Al Sisi la questione di Giulio Regeni, Meloni ha risposto che il tema viene “tendenzialmente” affrontato in ogni incontro bilaterale con l’Egitto: “continueremo a tentare di ottenere qualcosa di più ma penso che quello che dovremo fare noi è andare avanti sul fronte della verità e della giustizia ..”

FOOD FOR PROFIT di Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi

Il Polesine è una zona di interesse naturalistico non lontano dalla foce del Po: qui in questi ultimi anni sono sorti tanti allevamenti intensivi: sono allevamenti che prendono anche finanziamenti dall’Europa e dove un attivista è riuscito a farsi assumere e riprendere le condizioni in cui crescono i polli. Sono immagini forti: polli uccisi perché considerati “scarti”, perché sono una perdita economica per l’allevatore, uccisi a bastonate o a mani nude.

Ma non esistono vincoli europei sugli scarti, è solo un discorso fatto dall’industria che deve vendere polli tutti uguali, dove gli animali sono considerati solo come merce da vendere spendendoci il meno possibile.

Proviamo empatia per un cane malato, mentre i polli agonizzanti negli allevamenti sollevano solo risate: l’allevatore, l’ufficio stampa dell’azienda non accettano domande su questo punto, figuriamoci le telecamere che riprendono la situazione degli animali, non è stato un lavoro facile quello di Giulia Innocenzi e di Pablo D’Ambrosi.

Se c’è una colpa è solo del singolo allevatore – così si difendono le aziende: tanto in Europa queste aziende sono difese dai loro lobbisti (25mila persone in totale in Unione Europea, la maggior parte lavora nell’agroindustria). Tanto, come dice il ministro Lollobrigida, l’uomo è l’unico animale senziente.

Coi soldi nostri finanziamo allevamenti come quelli mostrati dal filmato: come vengono spesi questi soldi?

Lorenzo fa il lobbista a Bruxelles: per raccontare cosa sia il lobbismo è andato in una "camera di risonanza" dove lobbisti, ricercatori e giornalisti si incontrano per difendere gli interessi delle imprese.

Ci sono ricercatori che presentano studi finanziati dalle aziende zootecniche, per affermare che non è vero che gli allevamenti intensivi causano problemi per le emissioni. Ad uno di questi Lorenzo presenta il suo progetto per modificare il genoma dei maiali.

Ci sono giornalisti come Andrea Bertaglio, pagato per decantare le virtù delle aziende della carne.

Lorenzo si è presentato poi all’europarlamento per cercare di capire come promuovere le sue iniziative: un nome viene fatto spesso nel mondo dei lobbisti è quello dell’europarlamentare De Castro. Un altro nome che gira è quello della spagnola Clara Aguilera: dopo anni in cui ha lavorato con le aziende del settore alimentare oggi in Europa decide su come assegnare i sussidi della PAC (politica agricola comunitaria).

Tramite questi fondi si finanziano allevamenti come quello mostrato nel secondo servizio, a sud di Berlino: il pavimento non viene pulito da anni, col proliferare di germi, animali che soffrono di mastite, una malattia che inizialmente non si vede col rischio di infettare il latte.

Nella stessa regione c’è il più grande allevamento in Germania: prende ogni mezzo milione di euro dall’Europa per il modo in cui si allevano animali. Ma la realtà è diversa: il personale dell’allevamento inietta antibiotici pur non essendo dei medici.

I responsabili degli allevamenti, che sia in Italia o in Germania, non accettano che si riprendano le immagini nelle stalle, non accettano le domande, figuriamoci sui rischi dell’antibiotico resistenza (tanto la gente muore anche per il fumo..).

L’influenza aviaria non può essere curata con gli antibiotici e può essere letale anche per l’uomo, forse un giorno potrebbe saltare da uomo a uomo – racconta David Quammen, uno dei più famosi divulgatori dei virus. I mega allevamenti intensivi sono una bomba virale, perché possono facilitare le condizioni per l’arrivo di una nuova pandemia.

La Polonia è il più grande produttore di polli in continente: gli allevamenti intensivi hanno cambiato per sempre il paesaggio delle regioni agricole, sono causa di emissioni di co2 (anche finanziati da aziende straniere) che causano problemi alla salute delle persone.
È una partita di giro tra aziende del settore alimentare che finanziano i politici che poi regolano (o non regolano) il settore: l’industria sta ora spingendo sull’editing genetico, per aumentare la produttività degli animali e la riduzione dei costi.

Lorenzo, il lobbista a Bruxelles, ha deciso di presentare dei finti progetti sull’editing genetico: mucche senza corna, polli senza piume, in Israele lo stanno già sperimentando e i lobbisti stanno spingendo affinché l’Europa approvi un regolamento sull’editing genetico.

Passando per politici come Di Castro: si usa la leva della ricerca genetica per poter vendere la carne a tutto il mondo (se i cinesi iniziassero a consumare la carne come noi, come faremmo?): in alcuni casi sono proprio i lobbisti che si candidano, come Cassart: a Lorenzo spiega che per far approvare un regolamento è bene tenere lontano l’opinione pubblica, per evitare reazione contrarie.

A Lorenzo danno anche altri suggerimenti: legare questi esperimenti di genetica con l’Africa, con la fame nel mondo, fare esperimenti in Africa è una proposta dal sapore coloniale.

Diversi europarlamentari hanno dato parere positivo, di fronte a questi progetti per la creazione di animali Frankenstein, proponendo di presentare un emendamento perché “l’obiettivo è buono e sul metodo non ho preconcetti” afferma uno di loro.

Serve solo un abile comunicatore per rendere digeribile all’opinione pubblica queste degenerazioni.

Il 90% della carne e del latte che prendiamo è finanziato dall’Europa e arriva da allevamenti intensivi: come ha raccontato il servizio, questo modello di allevamento è potenziale causa di malattie antibiotico resistenti, contribuisce al cambiamento climatico con le emissioni di co2.

La Murcia, una regione della Spagna quasi desertica, è diventata la sede di diversi allevamenti intensivi: i liquami degli animali sono gettati sul terreno, causando inquinamento da nitrati, l’acqua che in questa regione è un bene scarso, è stata dirottata negli allevamenti.

I liquami dei maiali stanno inquinando anche la fauna nel mare: milioni di pesci morti per inquinamento di nitrati, mentre si da la colpa al caldo.

Come in Italia, in Germania, anche in Spagna gli allevatori accusano i giornalisti di fare cattiva informazione, “chiamiamo la polizia”, cercano di allontanare i cameramen. Tutto questo è pagato coi soldi pubblici finiti ad aziende che dovrebbero rispettare gli animali e le regole europee.

Quando la regione della Murcia ha cercato di limitare questi allevamenti, gli allevatori hanno fatto irruzione nel palazzo dove si stava approvando la legge, poi bloccata dai consiglieri.

C’è poi la questione dello sfruttamento dei lavoratori: non solo gli animali sono solo merce, anche le persone che lavorano in queste strutture.

In Germania se ne sono accorti solo con la pandemia, quando si scoprì come vivevano le persone nelle aziende in subappalto nei macelli.

Se non ti presenti al lavoro per malattia vieni sostituito e cacciato via, non ci si può fermare, si è costretti a lavorare di corsa sotto il controllo dei capi: sono lavoratori assunti in cooperative, tollerate perfino nella rigorosa Germania.

Lo sfruttamento accade anche in Italia: lo racconta lo stesso ragazzo che aveva mostrato i maltrattamenti dei polli in Veneto, che spiega come siano tutti assunti in nero per fare un lavoro da inferno: un lavoro fatto di corsa, sotto stress, dove non ci si cura della salute degli animali. Possibile che non ci siano controlli?

Giulia Innocenzi è stata minacciata da un “amico” dell’allevatore (che pure ha preso finanziamenti dall’Europa), assieme alla sua squadra è stata inseguita in auto da persone che forse volevano mettere le mani su quelle immagini che non dovevano essere mostrate agli italiani.

Altro che green deal: il continente Europa sta diventando un inferno, un continente costretto a subire il ricatto dei trattori, della lobby dell’agroalimentare, come Copa Cogeca.

Questa associazione incontra i ministri dell’agricoltura e gli europarlamentari: sono favorevoli agli allevamenti intensivi, perché la priorità è la produttività. Questa viene prima dell’ambiente, prima della nostra salute, prima del benessere degli animali.

Come ha votato l’europarlamento sulla PAC, sui finanziamenti per la politica agricola, pari a 400 miliardi? Sono politiche di cui i cittadini sanno poco e su cui legiferano europarlamentari che prendono soldi dalle aziende dell’industria alimentare, come Paolo De Castro. Tutto regolare, ma poco opportuno.

Oggi non è più candidato al parlamento europeo, tornerà all’insegnamento.

Anche la Aguilera non si candiderà, lei che alle telecamere raccontava di non essere interessata alla salute degli animali.

La PAC, coi suoi 400 miliardi è stata approvata: tutto andrà avanti come prima, con i finanziamenti agli allevamenti intensivi.

05 maggio 2024

Anteprima inchieste di Report – il caso Regeni, la lobby della carne

I depistaggi nel caso Regeni

Con molte difficoltà, dopo 8 anni si è finalmente aperto il processo contro i presunti assassini (processati in contumacia) di Giulio Regeni, il ricercatore italiano morto in Egitto, dopo essere stato rapito e torturato dai servizi egiziani. Il servizio di questa sera riporterà video e documenti inediti che racconteranno cosa è accaduto in quei giorni di fine gennaio 2016, cosa avrebbe potuto fare l’Italia per salvare il ricercatore italiano e che non ha fatto.

Cominciando dalle azioni messe in atto dai nostri di servizi, quando uscì la notizia del rapimento il 25 gennaio 2016.
La notte stessa – racconta l’anteprima del servizio – l’ambasciatore Massari comunica la notizia al capocentro dell’AISE, il servizio segreto estero, il dato rimbalza da Il Cairo a Roma e da quel momento la scomparsa del ricercatore entra nel sistema informativo del nostro controspionaggio.
Giulio Pettarin è membro della commissione parlamentare di inchiesta spiega a Report che “in qualche maniera la ricerca era scattata da parte di un po’ tutti” anche altri servizio occidentali.
Diverse agenzie di sicurezza internazionali si mettono in azione e aprono un dialogo la national security, lo spionaggio militare egiziano che secondo la procura di Roma, ha ordito ed eseguito il rapimento, le torture e l’omicidio di Giulio Regeni. Uno dei centro operativi che viene attivato è la American University, la culla accademica della élite egiziana, ma anche un punto di interesse per i servizi di sicurezza statunitensi. Dalle 15.37 del 26 gennaio, l’università si adopera per ritrovare Giulio Regeni.
Racconta un funzionario del ministero degli Esteri: “già dalle prime ore la notizia di un ragazzo scomparso a Il Cairo viene condivisa tra gli agenti in servizio del controspionaggio, il capo centro dell’Aise e ovviamente la Cia e MI6 inglese”.
La mattina del 27 gennaio i genitori di Giulio Regeni ancora non sanno nulla ma nelle stesse ore parte da Roma un volo dell’Aise che porta l’allora numero due Giovanni Caravelli, oggi direttore dell’agenzia, a incontrare i vertici dei servizi egiziani. Continua il funzionario della Farnesina: “in quei giorni le nostre agenzie hanno continuato a fare ricerche su Giulio Regeni perché volevano capire se era una bomba che stava per esplodergli in mano. Allo stesso tempo volevano tenere lontani i genitori da Il Cairo perché la verità era che alla Farnesina nessuno li voleva tra i piedi in Egitto in quel periodo.”
Il 30 gennaio i genitori di G.R. arrivano a Il Cairo, lo fanno da privati cittadini, acquistando un biglietto aereo da una agenzia e andando a dormire nella casa di Giulio nel quartiere popolare di Doqqi: “abbiamo pagato tutto noi, ci siamo arrangiati” conferma il padre di Giulio.

Come mai i genitori non sono stati informati subito di quello che era successo a Giulio Regeni, visto che del rapimento erano informati tutti, a Cambridge, in Egitto, a Roma il ministro degli esteri Gentiloni? “Questa è una cosa che indigna sempre più” è stata la risposta della signora Regeni “anche perché tutte queste persone hanno deciso direttamente o indirettamente la vita di Giulio.”

Le indagini sono state ostacolate dal governo e dagli organi di polizia egiziani, con diversi depistaggi, con false prove, depistaggi che forse non sono ancora finiti: a parole, specie dal livello politico, sono tutti favorevoli ad una piena collaborazione tra i paesi per raggiungere la verità, ma il tempo della parole è finito, lo chiedono i familiari di Giulio, lo chiede la loro legale, l’avvocata Alessandra Ballerini.
Quello che è successo a lui potrebbe succedere a qualcuno di noi” racconta a Report uno studente che manifestava assieme alla famiglia Regeni di fronte al Tribunale: in realtà nell’Egitto di Al Sisi sono tanti i casi di persone che da un giorno all’altro spariscono, perché ritenute ostili al regime.

La verità è che l’Egitto di Al Sisi è un nostro partner commerciale strategico, anche per gli ottimi rapporti che ha con la nostra Eni, l’azienda controllata dallo Stato che, nei giorni del rapimento, stava negoziando gli accordi per il ricchissimo giacimento di Zohr, un affari da molti miliardi: anche gli uomini dell’Eni hanno giocato un ruolo in quei giorni dopo il rapimento, nel tentativo di aiutare le nostre autorità per fare ulteriori pressioni.

Come fai a metterti contro un paese con cui hai rapporti a questi livelli?

Il 16 marzo scorso la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha incontrato il presidente egiziano Al Sisi assieme alla presidente della commissione europea Ursula von Del Leyen: si è trattato di un incontro storico perché l’Unione Europea ha firmato un’intesa col paese annunciando un sostegno economico pari a 7,4 miliardi di euro, un accordo per cui Meloni ha espresso grande soddisfazione, per il “nuovo modo di portare avanti una cooperazione” coi paesi del nord Africa. Alla domanda fatta dai giornalisti se ha posto ad Al Sisi la questione di Giulio Regeni, Meloni ha risposto che il tema viene “tendenzialmente” affrontato in ogni incontro bilaterale con l’Egitto: “continueremo a tentare di ottenere qualcosa di più ma penso che quello che dovremo fare noi è andare avanti sul fronte della verità e della giustizia ..”
Che effetto ha fatto questo avverbio “tendenzialmente”: l’avvocata risponde a Report in modo chiaro “abbiamo pensato che abbia sbagliato avverbio, se il nostro governo in questi otto anni e mezzo avesse cercato caparbiamente e ostinatamente, come abbiamo fatto noi, di ottenere verità e giustizia per Giulio, non avremmo aspettato otto anni per iniziare un processo.”
Il 18 marzo a Roma la Corte d’Assise riunita nell’aula Occorsio (il giudice romano ucciso dai terroristi di Ordine Nuovo) da via al processo nei confronti dei 4 egiziani accusati a vario titolo di aver rapito, torturato e ucciso Giulio Regeni.

Il procuratore Colaiocco usa parole nette: “otto anni fa un nostro concittadino è stato non solo ucciso da quattro appartenenti ai servizi di sicurezza egiziani, secondo quanto da noi ricostruito, ma è stato per nove giorni torturato ..”
Gli imputati, assenti ovviamente in aula, sono difesi da un avvocato italiano che, alla domanda di Report, ammette di non sapere se e come verrà aiutato nel suo compito dalle autorità egiziane aggiungendo anche che sarà un problema del pubblico ministero “per citare i testi avrà bisogno della collaborazione”. Come forse a far intendere che senza questa collaborazione l’accusa non potrà portare avanti la sua linea.
Forse è così che si vuol far naufragare il processo, alla faccia della richiesta di giustizia da parte dei genitori di Giulio Regeni, delle promesse politiche mai mantenute. 


A rispondere delle accuse al processo a Roma ci sono un generale, due colonnelli e un maggiore, tutti irreperibili e appartenenti alla National Security. Nel corso del processo sono emerse nuove prove dei depistaggi: uno degli agenti responsabili del rapimento è stato anche coinvolto nelle indagini iniziali dove collaborava con gli agenti italiani (si tratta del colonnello Uhsam Helmi).

Quando il governo italiano venne a sapere del rapimento di Regeni? Alle ore 14 del 28 gennaio partì da Il Cairo una comunicazione criptata sul canale riservato ai diplomatici all’estero, si tratta del messaggio 211 rimasto inedito fino ad oggi, con il quale l’ambasciatore Massari lancia l’allarme ai livelli più alti delle istituzioni. Nel messaggio Massari ricostruisce i fatti al 25 gennaio, scrive chi è Giulio Regeni, utilizzando un tono molto duro e preoccupato dal quale traspare che l’ambasciatore tema il peggio. Il messaggio 211 è uno dei misteri di questa storia: nella relazione che l’ambasciatore scriverà il 7 febbraio dopo la morte e il ritrovamento del corpo di Regeni, dove ricostruisce nel dettaglio le azioni dell’ambasciata nei giorni della crisi, del messaggio non c’è traccia, nonostante sia un elemento centrale perché dimostra che il presidente del Consiglio Renzi venne informato il 28 gennaio. Diversamente da quanto lo stesso Renzi avrebbe dichiarato davanti la commissione di inchiesta: ai membri della commissione l’ex presidente parla dei rapporti costanti con Al Sisi, di come il governo italiano si sia mobilitato “immediatamente” coi massimi livelli del governo egiziano, dopo essere stati informati il 31 gennaio.


Ma il messaggio 211 prova che Renzi venne informato tre giorni prima, che contraddice un altro passaggio in commissione: “ecco perché dico, se l’avessimo saputo prima forse avremmo potuto fare prima qualcosa..”
Al processo a Roma si è affrontato anche questo punto: l’ambasciatore è stato convocato come testimone e al magistrato riporta quanto fatto, l’essersi attivato con la presidenza del consiglio e tutti i canali diplomatici. Renzi non ha detto la verità o si è confuso? “Questa è un’ottima domanda” risponde a Report Guido Pettarin membro della commissione.
“Quello che ho detto in commissione lo confermerò davanti ai magistrati” è stata l’unica risposta che Report ha ottenuto dall’ex presidente Renzi.

Sul Fatto Quotidiano Marco Franchi aggiunge un altro pezzo su questa incongruenza della dichiarazione di Renzi:

Da dove deriva questa incongruenza? Renzi è nella lista dei testimoni che dovranno essere escussi durante il processo. La sua audizione non è stata programmata, il giudice potrebbe ascoltarlo dopo le elezioni europee dell’8-9 giugno prossimi, a cui il leader di Italia Viva è candidato. Alla richiesta di chiarimenti di Report, Renzi ha assicurato: “Quello che io ho detto in Commissione lo confermerò davanti ai magistrati (…) siccome io devo rispondere di fronte ai magistrati non ho nessuna difficoltà a rispondere anche a voi dopo”.

Renzi, a questo punto, tocca un altro argomento molto sensibile: “La mia opinione su questa vicenda è che ci sia una evidente e clamorosa problematica legata a un signore che… o a dei signori, vediamo a chi, comunque che hanno a che fare con i servizi inglesi. Quando questa vicenda sarà definitivamente chiarita allora sarà possibile fare chiarezza sulla morte di Giulio”.

Il riferimento dell’ex premier, stando anche a quanto analizzato da Report, sembra tornare a una vecchia pista investigativa, in realtà già confutata dalle indagini della Procura di Roma, secondo cui Regeni potesse essere diventato inconsapevolmente una pedina dell’intelligence britannica in Egitto. Si tratta della cosiddetta “pista inglese” – spesso cavalcata dalla destra – che alludeva alla figura di Maha Abdelrahman, la tutor egiziana con base a Cambridge che aveva spedito Giulio al Cairo. “Ho detto a David Cameron e Theresa May – dice ancora Renzi a Report – che bisognava avere rispetto per quello che era successo e dovevano chiarire e quindi tutto questo lo ridirò”.

La scheda del servizio: VERITÀ PER GIULIO REGENI Di Daniele Autieri

Collaborazione Federico Marconi

Spia. Morte. Tortura. Speranza. Le parole che raccontano la drammatica fine di Giulio Regeni vengono ritrovate nella stanza del Cairo di Giulio Regeni. Sono gli appunti del ricercatore, raccolti durante le sue lezioni di arabo, nei quali Giulio aveva messo in fila, in italiano e in arabo, quelle parole trasformate in un triste presagio.

È questo uno dei documenti, rimasti finora inediti, che Report mostrerà ricostruendo i retroscena del rapimento, delle torture e della morte del ricercatore italiano.

Un’inchiesta che – proprio nei giorni in cui si celebra il processo ai quattro presunti sequestratori, torturatori e assassini del ragazzo – racconta per la prima volta che ruolo hanno giocato l’Italia e le sue istituzioni nel corso dei dieci giorni che vanno dal rapimento al ritrovamento del corpo, dimostrando con documenti riservati, che già a 48 ore dalla sparizione di Regeni, la presidenza del Consiglio e il ministero degli Esteri fossero a conoscenza del quadro completo dei fatti.

Report rivelerà che al Cairo in quelle ore erano in azione anche uomini della CIA e soprattutto della security ENI, il colosso energetico italiano che due settimane dopo avrebbe firmato con l’Egitto il contratto miliardario di gestione di Zhor, il più grande giacimento di gas del Mediterraneo Orientale.

L’inchiesta ricostruisce anche le responsabilità di governo e vertici dei servizi egiziani. Per la prima volta saranno mostrati i video delle telecamere a circuito chiuso della metropolitana del Cairo in prossimità della stazione di Dokki, dove – secondo la Procura di Roma – il giovane italiano è stato rapito.

Dal ritrovamento del corpo di Giulio Regeni le istituzioni italiane hanno fatto di tutto per rinsaldare i rapporti con il prezioso alleato. Oggi la questione Regeni non è più centrale sul tavolo delle relazioni diplomatiche e l’Egitto è tornato ad essere l’amico speciale dell’Italia.

La lobby della carne

Quanto è vasta e profonda l’influenza delle lobby dei produttori di carne nell’Europarlamento?
Come è possibile che certe cattive pratiche negli allevamenti intensivi, nella produzione della carne, siano ancora tollerate?

Sono domande a cui il film documentario di Giulia Innocenzi “Food for profit” cercherà di dare risposta.

Sui canali social di Report si possono vedere alcuni spezzoni, in uno si racconta di un lobbista che si è presentato a diversi eurodeputati per discutere un finto emendamento che potrebbe finanziare una tecnologia inventata che consentirebbe di trasformare gli escrementi delle vacche in mangime, grazie ad un tubo inserito nel retto. Il finto lobbista ha ripreso le loro reazioni, di riso, per alcuni, di opposizione per altri. Ma in diversi hanno dato parere positivo nel presentare un emendamento perché “l’obiettivo è buono e sul metodo non ho preconcetti” afferma uno di loro. Il lobbista, Lorenzo, ha voluto spingersi oltre mostrando altri progetti mostruosi: il primo riguardava un maiale a sei zampe tramite modifiche genetiche, per aver 6 prosciutti e sfamare la popolazione mondiale. “E’ un po’ pesante, ci vorrà del tempo per digerirla” ammette l’europarlamentare De Castro. Oppure una mucca con due organi riproduttivi per aumentare la produzione di latte “noi pregiudizi non ne abbiamo” – risponde sempre De Castro.

Un altro spezzone mostra quanto succede dentro un allevamento intensivo dove i polli vengono fatti crescere fino al peso massimo, e quelli che non crescono vengono uccisi. È quello che raccontano le immagini prese da un ragazzo che si è fatto assumere nell’allevamento: “ogni giorno la persona che mi affiancava decideva in maniera indiscriminata di uccidere dei polli che potevano visibilmente pesare un po’ meno degli altri, questa cosa era avallata dal responsabile della struttura”.
Perché, come sentiremo dalla viva voce di un responsabile di queste strutture, dove si allevano a ciclo continuo fino a 2 ml di polli, ci sono pulcini che hanno la performance e arrivare a fine ciclo per portare a casa i soldini e ci sono quelli che sono lì che non servono a niente, sono solo una perdita.

La scheda del servizio: FOOD FOR PROFIT Di Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi

Food for Profit è un'inchiesta rivelatrice che mostra il filo che lega l’industria della carne, le lobby e il potere politico. Al centro ci sono i miliardi di euro che l’Europa destina agli allevamenti intensivi, che maltrattano gli animali, inquinano l’ambiente e rappresentano un pericolo per future pandemie.

Il documentario di Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi, uscito nelle sale a fine febbraio con una produzione e distribuzione totalmente indipendenti, è diventato un caso cinematografico. Dopo l'anteprima al Parlamento europeo e diverse presentazioni nelle sedi istituzionali, dal Parlamento italiano ai Consigli regionali, Food For Profit ha innescato un vero e proprio dibattito politico, attorno ai sussidi europei agli allevamenti intensivi e alla contiguità di alcuni politici all'industria della carne.

A Bruxelles, per la prima volta in assoluto, un lobbista è riuscito a filmare i suoi colloqui con gli eurodeputati portando con sé una telecamera nascosta dentro il Parlamento europeo. Report potrà mostrare in esclusiva per la televisione italiana questo viaggio illuminante e scioccante in giro per l’Europa.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

02 maggio 2024

Bye bye Benny – una storia di rap e libertà, di Francesco Filippi

 

Aveva perso anche l’ultimo bus a gasogeno. Era tardi, l’ora stabilita per il rientro stava per scadere e in più stava diventando buio. Prese il littorino e provò a chiamare casa, suo padre era molto rigido negli orari.
“Qui Italvoce. Salve, giovane camerata. Vi informiamo che il vostro credito residuo è pari a zero lire. Vi preghiamo di…”
Interruppe la chiamata trattenendo a stento un’imprecazione. Adesso era davvero nei guai. Si guardò attorno cercando una soluzione possibile. La scritta luminosa Quisibeve all’angolo ronzava a intermittenza e dal locale usciva la luce soffusa dell’enorme italvisione sintonizzato sul programma pre-serale.

Littorino, gasogeno, quisibeve, italvisione.. come sarebbe stata l’Italia di oggi se il fascismo non fosse stato sconfitto con la guerra di Liberazione culminata con l’insurrezione del 25 aprile a Milano e in tutte le città del nord?
Francesco Filippi, autore di diversi saggi sulla propaganda fascista, sul fascismo di ieri e di oggi, prova a raccontarcelo con questo romanzo distopico, come quelli di Orwell o Philip Dick, che è anche un romanzo di formazione.
Perché protagonisti della storia sono due ragazzi che frequentano un liceo artistico in una cittadina di provincia, Italo e Giacomo: nonostante il carattere diverso, impulsivo quello di Giacomo sempre pronto a sdrammatizzare con una battuta, più riflessivo quello di Italo, sono molto amici. Due adolescenti con i problemi comuni ai loro coetanei, ma con una differenza: vivono nell’Italia fascista, un mondo perfetto per qualcuno, niente scioperi, nessuna contestazione, un governo che legifera senza opposizioni che disturbano e che controlla che la vita delle persone scorra serena, perché dispone di orecchie lunghe che entrano nella vita delle persone, delle famiglie. Famiglie fascistissime, come quella di Italo, il cui padre è un funzionario del partito e la madre è la perfetta donna fascista. Madre, angelo del focolare, impegnata come volontaria col partito.

Proprio per proteggere la vita delle persone, nell’Italia perfetta del fascismo non è possibile accedere alle notizie dall’estero, le notizie dal paese arrivano dalle veline del governo (d’altronde cosa può succedere di brutto con un governo fascista che ha sconfitto la criminalità?) e la televisione è divisa su tre canali. Quello della propaganda che loda le meraviglie del paese, la rete coi programmi del partito e quello dello svago, con quiz del tipo “Allora ditemi, signora Giuliana, quale domanda scegliete? Storia italiana, trionfi del partito o pettegolezzi?”.

La scuola, chiaramente, è chiamata a formare i perfetti cittadini dell’Italia fascista: basta con gli inglesismi, nella scuola di deve insegnare l’orgoglio italico senza contaminazioni decadenti da fuori, il cellulare si chiama littorino, il social per comunicare è Cheaccade, il rock è la musica rocciosa. E il regime, le leggi fascistissime, la dittatura? Tutto è stravolto, nel racconto della storia, riscritti sui libri degli studenti: il fascismo, tramite il ducefondatore, ha salvato gli italiani dal comunismo, vero nemico della patria.

"Il 28 ottobre 1922 Benito Mussolini libera l'Italia dalla schiavitù liberale e fonda la via italiana alla libertà, il fascismo. Dopo aver tolto di mezzo le opposizioni, il ducefondatore costruisce il nuovo stato italiano attraverso le leggi fascistissime tanto amate dal popolo itaiano e ancora oggi alla base del nostro stato. Nel 1935 Mussolini regala l'impero agli italiani con la conquista dell'Etiopia. Nel 1938 il ducefondatore salva la pace mondiale convincendo Fermania a Gran Bretagna a venire ai patti.."

"Con gli accordi di..?"

"Monaco, gli accordi di Monaco.. Dicevo: il ducefondatore salva per la prima volta la pace in Europa. Un anno dopo, n1l 1939.."

"Sii più precisa."

"Il primo settembre del 1939 Adolf Hitler decide di liberare i tedeschi schiavi dei polacchi e dichiara guerra alla Polonia, ma il 13 novembre dello stesso anno un falegname comunista, George Elser, mette una bomba sotto il palco da cui dovrà parlare il Fuhrer e lo uccide. Germania e Polonia trovano un accordo con l'aiuto del ducefondatore, che salva la pace in Europa una seconda volta. Purtroppo, senza il Fuhrer, in Germania scoppia la democrazia e Benito Mussolini rimane, assieme al caudillo spagnolo Francisco Franco, l'unico baluardo del fascismo contro le odiate democrazie plutocratiche e i comunisti. Nel 1942, con l'invasione della Polonia da parte di Stalin, le demoplutocrazie costruiscono un muro di difesa anticomunista in Europa, dando il via alla guerra fredda..."

Dovrebbero essere tutti felici gli italiani, nell’impero l’ordine regna sovrano, niente scioperi, schiamazzi, così dice la stampa, così racconta l’italvisione.

Ma Italo e Giacomo, come forse tanti altri italiani, non sono felici: in questa Italia dove è proibito pensare con la propria testa, dove non è possibile spostarsi (d’altronde perché uscire dall’Italia quando si vive nel paese più bello del mondo), quando il Minculpop ti protegge dalle cattive notizie, filtrando le notizie scomode, pardon, le notizie false, Italo si sente come un pollo:

Sì, Italo, è proprio questo il punto! Noi viviamo una società che ci tratta come dei bambini, che ci dice cosa pensare, cosa dobbiamo credere, per cosa dobbiamo morire… invece di insegnarci, a scuola, a distinguere le notizie importanti dalle cavolate, preferiscono chiudere la rete. Secondo me il fascismo vero è proprio questa cosa qua: quando ti convincono a smettere di interessarti al mondo, quando ti fanno capire che è meglio farsi gli affari propri e chi se ne frega degli altri. E questo fascismo è eterno, amico mio...”
“Mah, secondo me stai un po'…”
“Siamo polli da allevamento Italo!”
“Eh?”
“Polli, siamo polli! Siamo chiusi in questo enorme capannone e ci danno tutto il necessario per sopravvivere, acqua cibo luce. Ma ai polli da allevamento non dai quel che serve loro per star bene, dai loro quel che serve per diventare grassi per poterli mangiare.”

Un giorno, i due ragazzi si imbattono in un’arma pericolosa, una di quelle armi capaci di distruggere un regime di cartapesta: un libro. Un libro scritto da una ex professoressa, una “stramba”, diversa, lontana dal modello ideale delle italiane: su questo libro si parla di un’Italia diversa, un paese dove le donne votano, dove il fascismo è stato sconfitto al termine di una guerra nel 1945, dove ci sono (o mio Dio) i diritti allo sciopero, ad associarsi, a manifestare pubblicamente. Ma veramente un mondo del genere esiste, oppure si tratta solo di una favola, come quelle che si raccontano ai bambini? O forse le favole sono quelle del regime che considera gli italiani al pari dei bambini (e anche un po’ stupidi)?

In questo libro si parla anche delle leggi razziali, la vergogna delle leggi razziali è scritto proprio così, capovolgendo il senso comune che vige in quella società: discriminare le persone per il colore della pelle, per la religione, per la razza, è una vergogna, altro che protezione del sangue italiano (o sostituzione etnica, come forse si direbbe oggi). Perché in quell’Italia non c’erano più ebrei. Ma dove erano andati? Che fine avevano fatto quelle persone?

Ma nell’Italia del fascismo a nessun interessavano queste domane, forse anche domande pericolose, meglio farsi i fatti propri, meglio pensare che le leggi contro i diversi, contro gli altri, siano per la nostra sicurezza. In fondo, noi italiani siamo brava gente.

Ma è un altro evento quello che poi farà scattare quel senso di ribellione nei due ragazzi, durante la lezione di “uso conforme di Italnet”: eh già, nell’Italia perfetta del fascismo, che assomiglia tanto alla Cina di oggi, il regime, pardon, il governo, ha deciso di proteggere gli italiani impedendo l’accesso diretto alla rete internet con dei filtri che impediscano loro di cadere nella tentazione di conoscere il mondo là fuori e scoprire che magari le cose non sono proprio come le raccontano..
Ecco, durante la lezione, accade l’imponderabile: facendo una ricerca sull’italianissimo computatore sul trattato di Rapallo, alle prime tre lettere rap ad Italo e Giacomo si apre un mondo nuovo, la vera internet. Milioni di siti indicizzati che parlano del rap. Compresa una notizia che racconta di un concerto di musica rap a Lione, il 24 aprile.

Con l’aiuto proprio della professoressa Gangemi, assieme ad una loro coetanea Sofia, una ragazza che come loro non si sente più a proprio agio in questa gabbia, i due amici decidono di partire per questa avventura, per partecipare a questo raduno europeo di musica rap e vedere com’è questo mondo oltre i sacri confini della patria.

Sarà un viaggio che cambierà definitivamente le cose, la visione del mondo, della vita, sarà perfino la scoperta dell’amore. Esiste un altro modo di vivere, senza la polizia che ti controlla, senza un governo che ti dice cosa dire e cosa non dire. Dove hai libero accesso alle informazioni (e anche alle fake news) da tutto il mondo, dove puoi leggere di tutto e ascoltare tutta la musica che vuoi.

Dove è bello stare assieme a persone che hanno un colore della pelle diverso dal tuo, che si divertono a cantare assieme, a sfidarsi nelle gare di rap, a ballare.

Dove le paure sono finalmente messe sa parte.

Quel cielo era una calamita: tutti i ragazzi nell'oscurità del prato si fermarono ad ammirarlo in silenzio. poi qualcuno cominciò a battere le mani e ben presto si levò un enorme applauso per quel cielo stellato.
A Italo scese una lacrima sulla guancia. “Sono libero” pensò “anche di emozionarmi”.

Come Ciaula che, all'improvviso scopre la luna nel racconto di Pirandello, anche i due protagonisti scoprono il senso della parola libertà.

La libertà di pensare, di fare, anche di sbagliare, certo. La libertà di amare anche qualcuno del proprio sesso, di non essere relegata al ruolo di donna-madre.

Per scoprire questa libertà era servito questa fuga dalla gabbia, dal pollaio.

Questo romanzo parla di un presente che non c’è, ma che ci sarebbe potuto essere. Riflettere sul passato significa anche doversi chiedere quale peso abbiano le scelte compiute da chi ci ha preceduti – sono le parole dell’autore a fine libro.

Si parla delle scelte degli italiani che negli anni del regime e, soprattutto, dopo il crollo nel 1943, hanno fatto una scelta precisa. Una scelta che a molti di loro è costata la vita ma che ci ha permesso oggi di vivere in una democrazia, seppur imperfetta, dove esistono ancora le libertà e i diritti civili.

Viviamo in tempi difficili per la democrazia, sotto attacco da quanti dicono che è un lusso che non possiamo permetterci, che servono governi forti, con poteri senza alcun contrappeso. Ecco che questa domanda “cosa sarebbe successo se..” non è così inutile.
A questo servono i romanzi distopici, a farci capire cosa potrebbe succederci se ci dimentichiamo da dove siamo venuti, per cosa si è combattuto nella guerra di Liberazione, cosa c’è in gioco quando si parla di mettere in discussione i nostri principi.

Altri libri pubblicati da Francesco Filippi sul fascismo e sulla propaganda fascista

La scheda del libro sul sito di Feltrinelli

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

01 maggio 2024

La futura lezione di storia - da Bye bye Benny

 

"Il 28 ottobre 1922 Benito Mussolini libera l'Italia dalla schiavitù liberale e fonda la via italiana alla libertà, il fascismo. Dopo aver tolto di mezzo le opposizioni, il ducefondatore costruisce il nuovo stato italiano attraverso le leggi fascistissime tanto amate dal popolo itaiano e ancora oggi alla base del nostro stato. Nel 1935 Mussolini regala l'impero agli italiani con la conquista dell'Etiopia. Nel 1938 il ducefondatore salva la pace mondiale convincendo Fermania a Gran Bretagna a venire ai patti.."

"Con gli accordi di..?"

"Monaco, gli accordi di Monaco.. Dicevo: il ducefondatore salva per la prima volta la pace in Europa. Un anno dopo, n1l 1939.."

"Sii più precisa."

"Il primo settembre del 1939 Adolf Hitler decide di liberare i tedeschi schiavi dei polacchi e dichiara guerra alla Polonia, ma il 13 novembre dello stesso anno un falegname comunista, George Elser, mette una bomba sotto il palco da cui dovrà parlare il Fuhrer e lo uccide. Germania e Polonia trovano un accordo con l'aiuto del ducefondatore, che salva la pace in Europa una seconda volta. Purtroppo, senza il Fuhrer, in Germania scoppia la democrazia e Benito mussolini rimane, assieme al caudillo spagnolo Francisco Franco, l'unico baluardo del fascismo contro le odiate democrazie plutocratiche e i comunisti. Nel 1942, con l'invasione della Polonia da parte di Stalin, le demoplutocrazie costruiscono un muro di difesa anticomunista in Europa, dando il via alla guerra fredda..."

"E noi cosa facciamo?"

"Allora, con il famoso discorso detto 'della terza via', Benito Mussolini dichiara che tra la democrazia e il comunismo l'unica soluzione è il fascismo. Da quel discorso nasce l'idea del fascismo eterno, secondo le teorie di grandi studiosi e filosofi.. 

"Dimmene almeno un paio"

"Giovanni Gentile eeee..."

Bye bye Benny di Francesco Filippi - pagine 15-17 Feltrinelli editore

A metà tra i romanzi distopici di George Orwell e di Philip Dick, Francesco Filippi in questo romanzo anche divertente immagina un Italia in cui il fascismo è ancora al governo. Che paese sarebbe? Come vivrebbero gli italiani?

Come verrebbe raccontata la storia del nostro paese?

E' un romanzo, ma a sentire come la storia viene raccontata da illustri ministri, non siamo molto lontani dalla realtà.

 

29 aprile 2024

Report - il marmo di Carrara, i taxi del mare, le università telematiche

AGGIORNAMENTO IL MARMO DELLA DUCHESSA di Bernardo Iovene

Aveva dato molto fastidio l’infelice (per essere buoni) uscita di un imprenditore del marmo a Carrara che aveva definito dei deficienti gli operai che si infortunano sul lavoro: sono imprenditori che fatturano molto, in un settore poco regolamentato dal punto di vista dell’impatto ambientale. E dove gli infortuni capitano ai lavoratori “che lavorano poco e guadagnano molto”.

Negli ultimi 26 anni ci sono stati 12mila infortuni nella provincia di Massa Carrara, che è molto sensibile sul tema sicurezza: la CGIL e la provincia sono scese in piazza a protestare contro le parole di questo imprenditore per dire che “non sono tutti deficienti”. Quei deficienti che fanno fare a questo signore profitti da 76 ml di euro (con un patrimonio da 113 ml per il signor Franchi), di fronte ad uno stipendio da 1500 euro, anche dopo anni di lavoro.

Le persone che hanno perso la vita per portare a casa un pezzo di pane non devono essere dimenticate”: queste le parole di una donna che ha perso un familiare in una cava.

Confindustria dimostra un certo imbarazzo, spiegano oggi che in effetti quello del cavatore è un lavoro difficile: Franchi alla fine ha chiesto scusa delle sue parole. Ora ci aspettiamo un maggiore rispetto per i lavoratori vivi e per l’ambiente.

Il servizio di Report sui centri per migranti in Albania

Il progetto di Meloni di portare in Albania i migranti fermati nei nostri mari sarà costoso, potrebbe essere a rischio se dovesse cambiare governo, non sarà un affare per l’Italia ma solo per l’Albania, a cui pagheremo anche il servizio di polizia.

In 5 anni verseremo circa 100ml di euro solo la sicurezza, in totale si arriverà ad un miliardo di costo per questo hotspot che dovrebbe alleggerire la situazione dei centri di accoglienza in Italia, ma solo sulla carta.

Rama non ha gradito il servizio, Report lo intervisterà per dagli modo di ribattere ai contenuti del servizio che, al momento, non sono stati confutati.

TAXI DEL MALE di Giorgio Mottola

Nel 2023 sono sbarcati in Italia 150 mila migranti, 4mila di loro sono morti nel tentativo di attraversare il mar Mediterraneo, 23 di loro erano i bambini morti sulla spiaggia di Cutro il 26 febbraio 2023. Frontex aveva seguito il viaggio del barcone in diretta, la guardia costiera ha scelto di non intervenire in quanto l’evento non è stato classificato come salvataggio.

Dopo questa tragedia il governo Meloni si è riunito per dare una risposta: dare la caccia agli scafisti, su tutto il globo terracqueo, senza prendersi alcuna responsabilità, il governo e la guardia costiera.

Report è andato ad intervistare uno di questi “pericolosi criminali”, si chiama Salman, arrestato nel 2018 con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
“Per loro sono un criminale italiano” racconta a Giorgio Mottola: non essendo riuscito ad ottenere un visto dal Marocco, nel 2018 decide di affrontare il viaggio verso l’Italia via mare, partendo da una città della Libia, Zuara, dove si imbarca su un gommone fornito da una organizzazione di trafficanti. Non è difficile ottenere un passaggio, non ci vuole niente – racconta a Report oggi – “nella Libia [il traffico di esseri umani] è diventato un business, lo fanno tutti, la cosa più difficile in Libia è trovare quelli che fanno questo lavoro veramente, non quelli che ti fanno morire dentro il mare”. Salman ha pagato 2500 euro per il viaggio, erano 93 persone dentro la barca, alcuni hanno pagat
o fino a 6000 euro. Salman aveva 21 anni e non era mai stato a bordo di una barca: poco prima di partire un membro dell’organizzazione lo prende da parte e lo porta in una stanza, “mi ha detto prendi questo telefono [satellitare]”, oltre al telefono il trafficante consegna anche un biglietto su cui c’è un numero di telefono da chiamare in caso di emergenza in mezzo al mare. Emergenza che si presenta si dall’inizio del viaggio perché alla guida dell’imbarcazione i trafficanti avevano posto un altro migrante, un ragazzo della Guinea Bissau completamente inesperto.
“Il ragazzo mi ha guardato e mi ha detto io non so più dove
devo andare, mi ha detto so guidare ma non so dove sono, aveva una bussola piccolissima che forse non funzionava .. dopo 4 ore ho scelto di chiamare, perché o chiami questo numero o muori dentro il mare”.
Al telefono risponde una nave militare spagnola che dopo qualche ora interviene a soccorrerli: ma quando sbarca in Italia Salman viene arrestato e trascorre oltre un anno in carcere, aver chiamato i soccorsi lo ha reso agli occhi della legge italiana uno scafista. Ora rischia una condanna a 5 anni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Non è che siccome ho fatto questa chiamata sono uno scafista. Prima non sapevo che dovevo fare un anno di carcere e l’indagine è ancora aperta dopo 5 anni, ora se il tempo torna indietro faccio questa chiamata sempre, anche se faccio il carcere. Sono fiero di fare quello che ho fatto, eravamo tanti, c’erano bambini, mamme”. Senza quella telefonata sarebbero tutti morti.

La storia di Salman è identica a quella di altre centinaia di immigrati in carcere con l’accusa di essere scafisti: Giuseppe Modica è un giudice che si occupa a Palermo di immigrazione, nei processi dove si è occupato lui non ha mai incontrato uno scafista che faceva parte dell’organizzazione. Erano persone costrette dalle organizzazioni, dai trafficanti armati a mettersi alla guida dei barconi: eppure oggi 1100 persone sono in carcere oggi con l’accusa di essere scafisti.

Dopo il decreto Cutro le pene sono pure aumentate: il minimo della pena in caso di naufragio è 20 anni, anche se si tratta di uno scafista costretto a mettersi a guidare una nave.

Gli scafisti sono costretti anche a pagare una multa, Salman dovrà pagare 6 ml di euro, pur essendo nullatenente. Tutto il paradosso della legge italiana sugli immigranti sta qui.

Carceri piene di scafisti senza responsabilità dei migranti, multe milionarie che non pagherà nessuno. E i trafficanti rimarranno in Libia a speculare sulla pelle dei disperati.

Nel 2016 venne arrestato un uomo considerato il maggior trafficante di esseri umani: pochi dubbi da parte della magistratura di Palermo, addirittura si riteneva essere in contatto con la mafia.
Ma il presunto trafficante era vittima di uno scambio di persona, il suo nome era simile a quello di un vero trafficante di origine eritrea.

L’avvocato difensore raccoglie le testimonianze di diversi migranti, contatta la moglie del vero trafficante, ma per anni la procura di Palermo è andata avanti con le accuse.
C’è voluto l’appello del processo per riconoscere l’innocenza dell’uomo arrestato, rimasto in carcere per 3 anni.

Il decreto Cutro rende stringenti le norme per poter rimanere nel nostro paese, rende più snello il processo per le espulsioni, ma questo è solo sulla carta, per una richiesta di asilo si arriva anche a due anni.

Nel frattempo si rendono più difficili le cose per le ONG, devono fare un solo soccorso, devono andare al porto indicato che non è il più vicino, insomma devono stare lontano dal mare.

Questa strategia politica risale al 2017, quando iniziò la teoria della complicità tra ONG e immigrazione clandestina. Nel 2017 parte l’inchiesta di Catania da parte del pm Zuccaro che, in una intervista affermava di avere dati su una complicità tra alcune ONG e le organizzazioni dei trafficanti: da qui parte la teoria dei taxi del mare, portata avanti da partiti di destra, dal M5S.

Partono inchiesta a Trapani, a Siracusa, a Catania e Agrigento sulle navi delle ONG che furono costrette a mettere da parte risorse per difendersi in tribunale. A distanza di 7 anni tutte le inchieste sono state chiuse in un nulla di fatto: ma per il clima politico che si è creato, molte delle ONG hanno abbandonato il Mediterraneo e così lo scorso anno abbiamo avuto un picco dei morti in mare.

Chi ha pagato questa teoria falsa sono stati gli ultimi del mondo, i migranti.

Il pm Zuccaro ha declinato l’intervista con Report, oggi non vuole più parlare delle inchieste sulle ONG, sulle evidenze dei contatti tra ong e trafficanti, di una strategia occulta per destabilizzare l’economia italiana.

Sono state parole che hanno pesato sulla credibilità delle ONG, criminalizzate, costrette a subire inchieste penali e provvedimenti amministrativi.

L’inchiesta sulla Juventa è partita dalle dichiarazioni di agenti di sicurezza privata che erano a bordo della nave: erano ex carabinieri e poliziotti congedati, poi andati a lavorare per una agenzia di sicurezza, mentre assistono ai salvataggi raccolgono il materiale secondo cui si proverebbe una condotta truuffaldina.

Uno di questi, intervistato da Report, racconta di aver contattato i servizi segreti (il numero l’ho trovato su internet) e poi di aver contattato anche dei politici, inizialmente Alessandro Di Battista, allora deputato del M5S, poi la segreteria di Matteo Salvini spiegando cosa stavano facendo. Sono stati ricontattati dopo dieci minuti direttamente dal ministro: al telefono Salvini da a queste persone il numero di telefono di un suo collaboratore, Alessandro Panza, europarlamentare della Lega. Non li invitano a denunciare i fatti all’autorità giudiziaria, Salvini non ha nemmeno presentato lui denuncia, secondo il racconto di questo agente di sicurezza privata.

Per diversi mesi queste persone hanno contattato Panza mandando foto, le mappe delle ONG, registrazioni e le posizioni geografiche delle navi: come mai nessuno ha presentato denuncia? Come mai Salvini non ha mai presentato denuncia in procura?

Panza in uno di questi messaggi chiede agli agenti della sicurezza di ottenere una dichiarazione da parte di qualcuno delle ONG mentre ammetteva di arricchirsi con i migranti..

A tenere i contatti con l’
europarlamentare della Lega era una ragazza, anche lei dipendente della IMI: lei manda tutte le notizie sulle attività delle ONG a Salvini, che poi venivano usate nei talk per la sua propaganda “usava le nostre informazioni e noi ci siamo presi un calcio nel sedere”.

Report ha mostrato le immagini di uno dei tanti talk andati in onda nel 2017-2018, dove Salvini ripete le parole che gli agenti della IMI gli hanno mandato via messaggio.

Gli agenti della IMI non hanno riscontrato alcun contatto tra le ONG e i trafficanti: ma nel 2018 presentano una denuncia, poi ritrattata.

In studio Ranucci racconta come le parole di Zuccato si siano basate sulle dichiarazioni dei servizi segreti che a loro volta nascono anche dalle dichiarazioni degli agenti della IMI.
Dopo sette anni si scopre che era tutto falso.

IL PEZZO DI CARTA di Luca Bertazzoni

Dallo scorso settembre ogni giorno e ogni notte, 12 volanti di un servizio di vigilanza privata controllano le strade di Terni. Il loro compito è controllare nei borghi e nelle piazze le proprietà che ha il comune perché, come spiega lo stesso sindaco al giornalista di Report “Terni in termini di criminalità è uno schifo, non siamo riusciti a fermare l’ondata di spaccio di droga, c’è una microcriminalità di stranieri enorme..”.
In realtà nella classifica della criminalità del 2023 Terni è 58 esima su 106 province, ma per garantire la sicurezza nella città che amministra il sindaco Bandecchi ha trovato un alleato in Unicusano,
l’universitàà telematica controllata da società dello stesso Bandecchi. L’ateneo paga 1 ml di euro per il servizio di vigilanza privato, per poi svolgere una ricerca sulla sicurezza proprio nel comune di Terni.
Ma l’idea della ricerca è nostra – assicurano dall’ateneo tramite la docente Anna Pirozzoli – “all’interno dell’analisi della percezione della sicurezza in un ambito territoriale ben definito, in questo caso il comune di Terni.”

Perché proprio Terni? “Dal momento che il fondatore dell’ateneo è diventato sindaco del comune abbiamo ritenuto non inopportuno presentare questo progetto che è stato prima approvato dalla governance del nostro ateneo e presentarlo all’amministrazione comunale di Terni.”

A Bandecchi dunque. Siamo maliziosi nel pensare che per il suo peso abbia avuto un ruolo importante nella decisione di approvare la ricerca?

Cosa risponde il sindaco? “Se dovete fare questa ricerca, fatela a Terni”, lo ha detto il Bandecchi di Unicusano al sindaco di Terni, sempre Bandecchi, “se io sono il fondatore di Unicusano, se io sono il sindaco e se io devo far risparmiare Terni, faccio fare una cosa all’università Unicusano che è un ente pubblico non Statale, va bene così, no?”
No, purtroppo le questioni di opportunità e di potenziale conflitto di interesse non entrano nella testa del sindaco di Terni. Ma poi, il comune aveva veramente bisogno di questo sistema di sorveglianza delle strade? Luca Bertazzoni ha seguito il lavoro della pattuglie e non si vede, dall’anteprima del servizio, tutta questa micro crimininalità.

In Italia ci sono 11 università telematiche, un unicum in Europa, sono cresciute del 410% dal 2012: Unicusano è una di queste e rappresenta il cortocircuito tra politica e università private telematiche, Bandecchi ha finanziato quasi tutti, da Boschi (IV) alla Lega. Poi si è comprato un partito, è diventato sindaco e ambisce a diventare presidente del Consiglio.

La procura di Roma lo ha indagato per evasione fiscale: si sarebbe intascato le rette degli studenti che avrebbero dovute essere reinvestite, mentre coi soldi di Unicusano ha comprato la Ternana.

Il 24 agosto Terni ha approvato a maggioranza la proposta di Unicusano per la vigilanza privata: la maggioranza si è scontrata con i consiglieri di destra di FDI, che avevano chiesto di assumere nuovi vigili.
In aula si è arrivati allo scontro fisico tra Bandecchi e il consigliere Masselli: tutto in diretta video, cosa che gli è costata l’accusa di oltraggio a pubblico ufficiale.

Ma il progetto per il servizio di vigilanza va avanti: a quanto racconta il servizio, pare che a Terni non ci siano veri problemi di microcriminalità (e nemmeno problemi di spaccio).

D’altronde i vigilantes in caso di problemi possono solo segnalare la cosa alla polizia o ai carabinieri: non è una iniziativa articolata, ma si tratta solo di un’azione di un privato.
I soldi ce li metto io – dice Bandecchi, che usa Terni per il suo show elettorale: i soldi non sono i suoi ma dell’università Unicusano, quasi 100ml di euro delle rette degli studenti (esentasse) sono stati dirottati per fini commerciali secondo l’accusa della finanza, ma con questa ricerca Bandecchi potrebbe essere riuscito a superare l’accusa.
“Per noi è stata utile questa scelta” si difende il sindaco Bandecchi di fronte a Report: l’esito di questo servizio di sorveglianza è anche analizzato dall’università stessa.

Alla fine si potrebbe scoprire che facendo girare delle volanti, la percezione della sicurezza migliora.

Il servizio di è poi occupato della convenzione tra lo stato e le università, anche quelle telematiche, per la formazione dei dipendenti pubblici.
La politica pagherà nei prossimi anni le università telematiche (nelle mani di politici, come Bandecchi o Angelucci) e a sua volta le università telematiche continueranno a finanziare la politica.

Tutto è iniziato col protocollo Pa 110 e lode voluto dall’allora ministro Brunetta (oggi presidente pensionato al CNEL) per la formazione del personale della pubblica amministrazione: inizialmente in quel protocollo Brunetta escluse le università telematiche, fu una scelta politica?
Bandecchi presentò ricorso al TAR
(non avendo ottenuto risposte da Brunettta), ma oggi il ministro Zangrillo ministro alla PA col governo Meloni ha messo le cose a posto (per Bandecchi), estendendo anche agli atenei telematici questo accordo. “C’era una sentenza che ci richiamava sulla necessità di considerare le università telematiche come le altre e non fare figli e figliastri” risponde il ministro a Report: ma non è così, la sentenza del TAR chiedeva soltanto all’allora ministro Brunetta di rispondere sul punto alla richiesta di Unicusano, non c’era nessun obbligo nell’equiparazione. Quella di Zangrillo è stata solo una scelta politica.

Le prime università telematiche ad aderire all’accordo sono quelle del gruppo Multiversity, oggi comprato da un fondo inglese.
Con questa agevolazione metà della retta è pagato dallo stato, si parla di milioni di euro dati alle telematiche, mentre le università pubbliche si lamentano di mancanza di fondi.

Si rischia di spostare studenti verso le università telematiche, cresciuti del 400% negli ultimi 10 anni: questo business sta attraendo anche fondi di investimento e per gestire il business Multiversity ha fatto entrare nel board ex politici o uomini delle istituzioni come De Gennaro, Violante e il giudice di Cassazione Salvi.
Anche l’attuale presidente del cNR sarebbe dovuta entrare nel board, ma ci sarebbe stata una situazione di conflitto di interesse perché il CNR ha assegnato dei bandi di ricerca proprio a Multiversity.

Violante ex magistrato e presidente della Camera, oggi nel board, spiega a Report di credere nel progetto di far laureare anche chi non può, mantenendo la stessa qualità degli atenei pubblici. Non importa se ci sia il profitto di un fondo inglese.
L’impressione è che Multiversity abbia puntato su ex politici proprio per facilitare i suoi rapporti con la politica, perché alla fine il fondo inglese è qui solo per profitto.

Alla fine i livelli di qualità sono pari alle università “normali”? No, perché in internet si trovano panieri con tutte le domande per passare gli esami, l’impressione è che per passare gli esami il processo sia molto più facilitato per gli studenti.
Alla fine se basta il pezzo di carta per una promozione, perché il dipendente pubblico non dovrebbe scegliere una università telematica dove nemmeno devi seguire le lezioni?

Adesso il figlio di Bossi non dovrebbe andare più in Albania per laurearsi.

La Lega aveva presentato un emendamento per far slittare di un anno l’adeguamento delle università telematiche agli standard qualitativi di quelle tradizionali (soprattutto in termini di numero di professori, che per le telematiche sarebbero state un costo): era stato presentato dal deputato leghista Ziello nello scorso gennaio e significherebbe ritardare di un anno l’adeguamento degli standard di università come Unicusano, tra i firmatari ci sono i colleghi di partito Iezzi e Ravetto. Nessuno ha accettato un’intervista, “dovete chiedere all’ufficio stampa, non faccio dichiarazioni” ha spiegato l’onorevole che, diversamente dai vari TG, ha declinato a rispondete alle domande di Bertazzoni. Iezzi se ne è uscito con “io l’ho sottoscritto ma non lo conosco [l’emendamento], se vuole parliamo di immigrati ..”.

Nelle università tradizionali il rapporto tra studenti e professori è quasi 1 a 10, nelle telematiche si arriva ad 1 a 300, per avere la stessa qualità il rapporto dovrebbe scendere: secondo Bandecchi assumere gli insegnanti è inutile, perché si dovrebbe parlare con la lobby dei professori, perché con gli anni ci saranno sempre meno bambini e dunque meno studenti.

Ma secondo l’ANVUR, l’ente pubblico che controlla le università, ha rilevato delle irregolarità in quelle telematiche, ma le pecche sono poi compensate da altri fattori…

Una ex docente di Pegaso e Mercatorum ha raccontato a Bertazzoni di esami dove si faceva passare tutti, di materiale passato agli studenti, tesi di laurea copiate, l’andazzo era promuovere tutti, “non mi sono sentita una docente” racconta a Report.
La logica di profitto prevale, a quanto pare, perché non si devono insegnare le materie a studenti, fare conoscenza, ma si devono solo sfornare laureati.


Alla fine l’emendamento è stato bloccato dal ministro Bernini che, di fronte alle telecamere di Report, spiega “tutti i parametri di qualità che noi possiamo inserire nelle università in presenza e telematiche, vanno inseriti, io devo garantire che le studentesse e gli studenti abbiano la miglior offerta formativa possibile”.

Assumere nuovi docenti sarebbe un salasso per le università telematiche – racconta Bandecchi che aggiunge anche che la politica potrebbe in aula proibire il finanziamento alla politica, per bloccare questo cortocircuito: perché l’emendamento della Lega (finanziata da una università telematica) avrebbe dovuto essere votato in commissione affari costituzionali presieduto da un deputato che è anche docente alla Pegaso (ma a titolo gratuito).

Francesco Polidori a metà anni 90 fonda il Cepu per aiutare gli studenti a preparare gli esami: da lezioni private è passato alle università private, che oggi fatturano anche 100 ml di euro l’anno.
Un bel businnes il suo con Cepu, E-campus e Link: ha finanziato la politica, prima Forza Italia di Berlusconi e poi la Lega di Salvini.

I docenti dellaholding Cepu venivano pagati 15 euro al giorno, con contratti co-co-pro: nonostante l’accreditamento ottenuto dalla ministra Moratti, le condizioni dei lavoratori Cepu sono peggiorate, arrivando ad una vertenza che è culminata nel 2021 col riconoscimento dei contributi, mai versati.
Polidori è finito indagato dalla GDF, per le irregolarità sui contributi ai dipendenti, sull’IVA non pagata, tutto denaro che veniva tenuto in cassa e poi fatto uscire per altre attività.
Si arriva a 170 ml di euro di omessi versamenti di imposte, nel 2021 Polidori è finito ai domiciliari,
indagato per bancarotta, autoriciclaggio: in 20 anni avrebbe eluso il fisco, ma il sistema va avanti ancora oggi, con società fatte fallire per non pagare tasse e contributi.

Com’è possibile che per 20 anni Polidori non abbia versato tasse, replicando lo stesso meccanismo più volte, facendo fallire le aziende che dovevano pagare delle tasse? Sono i soldi per pagare il welfare e le scuole.

I partiti che sono stati finanziati da questo imprenditore non hanno nulla da dire?

I GRANDI SAGGI Di Giulia Presutti

A controllare le emissioni sono le stesse aziende che emettono (e che inquinano): questo prevedono le norme attuali. Il ministro Pichetto Fratin ha deciso di cambiare le norme, affidandosi ad una commissione di saggi, non in conflitto di interesse e senza guadagnarci nulla.

I saggi dovranno scrivere i decreti legislativi, bypassando il Parlamento: in esso fanno parte ex politici ma anche imprenditori che si occupano di trattamento rifiuti.

Un avvocato che è legale di una azienda che ha smaltito pneumatici in un inceneritore, creando problemi di diossina ad Anagni (oggi l’azienda è a processo per disastro colposo).

Poi altri avvocati che hanno lavorato con Caltagirone, Snam, con Arcelor Mittal, con uno studio che è punto di riferimento di Eni.

Nessun ambientalista, perché l’impressione è che l’ambiente sia messo in secondo piano, per far prevalere l’interesse delle imprese di Oil & Gas, costruzioni..